La facciata è il luogo fenomenologico dell’architettura, ciò che da sempre è stato destinato alla funzione rappresentativa e a trasmettere l’aspetto comunicativo. Specialmente dalla lettura della facciata, definiamo stili e movimenti, espressione nel corso dei secoli dello “spirito dei tempi” e del carattere di modernità di quel preciso momento storico.
La facciata esalta il rapporto tra struttura, tamponamento e rivestimento e si configura come lavoro sulla superficie. L’architettura è prodotta dal semplice gesto di chiudere le parti portanti (orizzontali e verticali) con strutture portate. In questo modo l’architettura non si genera dalla scomposizione volumetrica prodotta dal movimento centrifugo dell’interno verso l’esterno (come nell’organicismo di Wright) ne attraverso lo scavo nelle masse, è piuttosto spazio racchiuso da un involucro.
L’involucro è il contenuto tecnologico della facciata, ciò che rende possibile la realizzazione di un’architettura da intendersi come un luogo al di sotto di una membrana, suddivisibile ed organizzabile all’interno liberamente, climatizzata grazie allo sviluppo degli impianti di riscaldamento e condizionamento, quindi adattabile ad ogni clima e ad ogni contesto, potenzialmente inseribile in ogni luogo. Nella “pelle” dell’edificio si concentra il massimo contenuto progettuale, frutto dell’integrazione, nella parete, della tecnologia necessaria allo svolgimento di un’attività a sua volta imprescindibilmente legata al benessere di quanti devono “abitarla”.
La facciata/involucro è ciò che permette di esprimere il ruolo dell’architettura nei confronti della città e dell’uomo, quindi della responsabilità che essa ha nei confronti della società e del contesto in cui si trova.
Il lavoro di ricerca, compositivo e tecnologico, è rivolto alla realizzazione dell’interazione tra spazio urbano - spazio architettonico - uomo, favorita proprio dall’involucro/parete. Esso è infatti il luogo di tensione tra il dentro e il fuori, spesso ottenuto lavorando sul concetto della trasparenza.
Annullando la separazione dentro e fuori, l’involucro, la parete, non riveste più esternamente la sola funzione rappresentativa nei confronti della città e internamente di separazione funzionale; la possibilità di attraversare con lo sguardo e fisicamente, l’edificio, mette in moto una nuova fruizione della città, scopre punti di vista. Diventano centrali gli ambienti di sosta e di passaggio: le hall di ingresso, i corridoi, i vani scala e i pianerottoli, gli spazi di relazione, i luoghi dell’incontro e della costruzione della comunità, sia essa quella che abita la città in relazione a chi abita l’oggetto architettonico, in contatto tra loro grazie al trattamento dei diaframmi interni, anch’essi permeabili in direzione interno-interno.
Ancora, l’interazione è da intendersi nei confronti dell’”ambiente” climatico, ed è nuovamente all’involucro che è affidato il ruolo di regolazione del passaggio della luce e dell’aria, non come esaltazione del linguaggio offerto dalla tecnologia, ma per ottenere un concetto più ampio di comfort, non solamente legato al dato prestazionale, piuttosto utilizzando questo, per favorire il benessere di quanti operano all’interno e la costruzione di quelle relazioni sopra descritte
Trasparenza e interazione sono stati, in particolare alla fine degli anni Novanta/Duemila, i concetti fondamentali utilizzati per dare forma all’esplosione della società della comunicazione, divenuta liquida, immateriale e “parlante”. Moderna evoluzione dei temi di Venturi e Scott Brown, l’architettura e la comunicazione si fondono insieme, gli involucri ospitano la tecnologia per trasformare le pareti in schermi, si moltiplicano i segni, la città diventa un testo.
In tempi recenti si registra un ulteriore passaggio di questo sviluppo.
Non si tratta più di applicare all’architettura, alla facciata, all’involucro, un contenuto comunicativo, simbolico, metaforico o direttamente espresso, ma è l’architettura stessa a farsi simbolo, icona.
Essa rappresenta certo il committente ma identifica anche, in un processo di nuova contestualizzazione, la città stessa, che si avvale di nuovi luoghi rappresentativi, non più quindi solo monumentali o pubblici, per costruire la propria identità. Edifici che esprimono al massimo grado la produzione globale, diventano immagini di luoghi, città, strade specifiche, rimettendo al centro il valore urbano dell’architettura, in una nuova chiamata alla responsabilità della costruzione.
In particolare l’architettura realizzata per le grandi società del retail, rappresenta un esempio paradigmatico che sintetizza in maniera efficace le caratteristiche della contemporaneità, passata da civiltà della produzione a quella della vendita, tanto da essere stata di recente oggetto anche della teoria architettonica, di cui salvo rare eccezioni, non si era occupata in precedenza. Quando Rem Koolhaas afferma che il museo, la strada urbana, le aree suburbane, le stazioni, gli aeroporti assumono tutti la logica commerciale dello shopping mall, si afferma che quello è il modello diffuso applicato a tutti i tipi edilizi e alla città stessa.
Il marchio è icona e segno insieme, fa coincidere comunicazione e architettura, aspetto simbolico e funzione. Gli involucri e le facciate sono vetrine, il prospetto non è più autonomo da ciò che deve mostrare, è la merce stessa a conformare la facciata. In altri casi invece, è minore questa volontà di integrazione. La facciata diventa nuovamente una superficie su cui applicare, il brand, tolto il marchio l’edificio rimane un contenitore.
L’importanza del marchio e della riconoscibilità influisce e modifica poi lo sviluppo del processo di progettazione, tanto, nei casi migliori, da ricercare la perfetta integrazione tra il design dell’architettura, quello del prodotto e quello della comunicazione; gli stessi strumenti, metodi e approcci coinvolgono la messa in opera dei materiali, i criteri di allestimento, quindi le logiche di comunicazione e vendita.
Il progetto dello studio OMA per alcuni degli store di Prada (a New York ad esempio), si fonda su alcune categorie derivate direttamente dai processi commerciali, che trovano applicazione anche nella definizione degli spazi.1. Esclusività, il negozio come il prodotto, deve assumere una connotazione di eccezionalità. 2. Diversità/variabilità, degli spazi come delle proposte di prodotto. 3. Ibridazione, del luogo del commercio con altri luoghi della città, come gli spazi per la ristorazione o lo spettacolo. All’interno del negozio non si vende o si espone solamente i prodotti ma si svolgono diverse e mutevoli attività, fuori o negli orari di vendita. Questi spazi, come la pedana-pulpito o la rampa del negozio newyorkese, influenzano la distribuzione interna e le logiche di allestimento, tanto forse da far prevalere l’aspetto architettonico, in gran parte legato ai materiali, sulle stesse logiche espositive della merce, per la volontà di contaminare i luoghi del commercio con frammenti appartenenti ad altri luoghi della città.